Page 15 - Goya y el mundo moderno
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Jaime Brihuega
Umane spoglie
Il sangue e la pittura
umano” colpiscono la nostra vista e il nostro udito, se non addirittura il nostro tatto, come un irrepara- bile movimento riflesso.
Lo stesso Goya, moderato nei giudizi espressi per iscritto, utilizzò un termine palpitante come “stra- ge” per l’incisione n. 30 dei Disastri della guerra (cat. 156.30)1, in cui tutto è emozione e orribile spreco ma nello stesso tempo unico sostegno degno di fun- gere da lucida custodia di una condizione umana tan- to malridotta.
In un certo senso, dopo l’assassinio indiscrimi- nato della bellezza, dell’eroismo, della dignità e de- gli altri orpelli con cui si tesse la maschera dell’esse- re umano, nella coscienza poteva essere ristabilito soltanto il bene. Riflettendolo nell’inquietante spec- chio della lucidità. Benché si trattasse pur sempre di una bontà recuperata nella sua dolorosa assenza.
Molto tempo dopo, già a inizio Novecento, quando Picasso tornò a intonare un canto emozio- nato alle reincarnazioni dell’essere umano, lo fece con analoga malinconia, innalzandolo su una galle- ria di ubriachi, prostitute, mendicanti e altri mise- rabili reietti, frutto della disuguaglianza e dell’in- giustizia. E più avanti, proprio come aveva fatto Goya, unì nuovamente vittime e colpevoli in un’u- nica spirale di sofferenza attraverso l’ambiguità al- legorica del toro e del cavallo di Guernica del 1937.
Ma c’è di più. Il sangue rappreso delle “fucila- zioni” non solo ha perduto la sua natura di liquido, ma non sembra quasi più sangue. Lo stesso accade con la lanterna che illumina la scena: risponde a ma- lapena alla sua ovvia natura di faro ardente, e re-
“Spoglie”, “resti”, “relitto umano”... “strage”. A volte le lingue custodiscono parole capa- ci di evocare immagini particolarmente in-
tense; espressioni che si accalcano nel pensiero con una forza visuale e sonora che può sfuggire al nostro controllo. È ciò che accade con i termini appena cita- ti. Voci che rimandano a immagini dal profilo ta- gliente, visibili soprattutto nel grande bazar compo- sto dall’esperienza accumulatrice del nostro sguardo.
La sinestesia agisce anche in senso inverso. Va- le a dire, da determinate immagini si forma una sor- ta di corrente che fluisce verso la riva dove l’aspet- tano le parole che, davanti a certe situazioni visua- li, saltano come schegge dalla traiettoria imprevedi- bile.
Succede, per esempio, quando osserviamo la car- ne inerte e le urla di spavento che si intrecciano su un grumo violaceo di sangue in Il 3 maggio 1808 a Madrid. Confusamente mescolati su una sorta di li- vida pedana, i morti, la paura e l’orrore disarticola- to di chi è sul punto di morire formano un blocco il cui pathos compensa la meccanicità ottusa dei giu- stizieri. Meccanica da teatro di marionette quella che caratterizza quest’ultimo gruppo di uomini che, a sua volta, è collocato sul basamento immaginario composto dalle ombre delle figure. In tal modo fie- rezza animale e crudeltà meccanica si neutralizzano a vicenda su una bilancia lontana dagli orizzonti so- gnati dal Secolo dei Lumi.
Contemplando un simile panorama di debolez- ze umane, parole come “spoglie”, “resti”, “relitto
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