Page 197 - Goya y el mundo moderno
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Concha Lomba
Riflessioni sulla violenza
“Quale profondo e impenetrabile arcano è racchiuso nell’imitazione della divina natura, senza la quale nulla vi è di buono, non solo in Pittura [...]
Mi è impossibile esprimere il dolore causatomi dal veder scivolare in tal modo la licenziosa ed eloquente penna [...] e incorrere nella debolezza di non conoscere a fondo la materia che sta trattando”1
Con queste parole, indirizzate all’Accademia di San Fernando nel 1792, Goya metteva in chiaro le proprie convinzioni estetiche. Po- co abituato a dichiarazioni programmatiche o a ma- nifesti retorici, il pittore esprimeva con questa frase, condita con le giuste dosi di impaziente ironia, una vera e propria dichiarazione d’intenti. Dava voce al- la filosofia che ispirò la sua ultima produzione arti- stica, convertendolo in un precursore dell’arte con- temporanea, una personalità inquietante e lucida, mordace, sarcastica e capace di rappresentare la na- tura umana in tutta la sua chiassosa intensità, senza un minimo di compassione o commiserazione.
Le sue composizioni innovative, gli spazi bian- chi e raggelanti che circondano i protagonisti, le at- mosfere dure, i paesaggi carichi di tensione... rie- scono a catturare l’osservatore, rendendolo parteci- pe dei suoi racconti e incapace di sottrarsi ai tratti asciutti dei suoi disegni, alle pennellate rabbiose e avvolgenti, agli impressionanti impasti neri, marro- ni e rossicci, ai bianchi e dorati sottili... con cui de- finì una vastissima galleria di personaggi.
Sotto simili premesse, Goya trasformò la natu- ra umana nell’asse portante delle sue creazioni, del- le sue composizioni più moderne e sorprendenti gra- zie all’invidiabile e trascinante capacità di rappre- sentare, in un modo mai immaginato fino ad allora, i peggiori istinti dell’essere umano: le paure, i mo- stri, l’ira, l’irrazionalità e la terribile attitudine alla violenza.
Goya, tuttavia, non inventò nulla di nuovo, ma si limitò – come avevano fatto secoli prima Dante Alighieri o Pieter Bruegel – a raffigurare il grande teatro umano che agiva davanti ai suoi occhi negli anni convulsi della fine del secolo, nel passaggio dal- l’età moderna a quella contemporanea, vissuti così come li vissero lui stesso e la Spagna. Alla penosa convalescenza che seguì alla malattia che nel 1793 lo aveva lasciato sordo, si aggiunse pochi anni dopo una serie di eventi legati alla situazione politica in- certa della Spagna, un paese desideroso e bisognoso di modernizzare le sue antiquate strutture politiche, sociali ed economiche nel segno dell’illuminismo, dei presupposti difesi dagli amici Jovellanos, Moratín e da tanti altri.
Tuttavia, mentre l’aragonese si riprendeva, quei cambiamenti sfumarono, si trasformarono in vane illusioni, fantasmi del passato. Accadeva agli inizi dell’Ottocento, nel periodo in cui nuovi problemi tornavano a minare la sua salute, quella di un uomo che aveva già superato la sessantina e ottenuto i mas- simi onori professionali a cui un artista poteva aspi- rare, tra cui la nomina, nel 1799, a primo pittore di camera. Perché, paradossi della vita, lo spirito illu-
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