Page 199 - Goya y el mundo moderno
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  2. Jacques Callot L’impiccagione, dalla serie Le miserie della guerra, 1633
 Scene dure che, riprendendo il mito del selvag- gio, iniziano a svelare l’irrazionalità dell’essere uma- no sotto lo sguardo attento dell’artista: il protago- nista di Il sonno della ragione genera mostri4. Sfor- tunatamente, infatti, gli incubi tenebrosi che popo- lavano i suoi sonni erano diventati realtà e la vio- lenza si era imposta come formulazione plastica.
Pulsioni di morte e dolore
In alcuni casi, quella violenza si trasformò nell’im- magine stessa della morte attraverso le ormai cele- bri nature morte che, stando agli indizi in nostro pos- sesso, furono dipinte tra il 1806 e il 1808, vale a di- re quasi parallelamente ai duri scontri bellici che de- vastarono la Spagna.
Considerate simili circostanze non appare strano che Goya, facendo sfoggio della conoscenza artistica che gli era stata già riconosciuta, volgesse lo sguardo ai pittori di nature morte spagnoli e olandesi per co- struire immagini allegoriche: Francisco Barrera e le te- ste di agnello raffigurate in La primavera (Siviglia, Museo de Bellas Artes; fig. 18), o la lepre così simile a quella di Goya sulla cui pelle si scorge persino una piccola macchia di sangue; Mateo Cerezo, che nella sua Natura morta in cucina rappresentò teste e co- stolette d’agnello; Meléndez Valdés e i suoi pesci, Rem- brandt e il bue macellato o Melchior de Hondecoeter con le lepri dipinte nel 1772. Al pari di questi artisti, il pittore aragonese si serviva degli animali morti, squartati addirittura, come simboli dello spettacolo sanguinoso che stava davanti ai suoi occhi.
Per molti versi, tuttavia, Goya rendeva attuali e modernizzava molte di quelle tele. E, ancora una vol-
ta, reclama l’attenzione di noi osservatori con com- posizioni ambivalenti in cui atmosfere opprimenti e tese circondano tacchini, anatre, lepri, beccacce, pe- sci, salmoni e agnelli... morti5. Con un’intensità mo- derna, mai espressa fino ad allora, gli animali con gli occhi spalancati su di noi che compaiono in Na- tura morta con lepri o Natura morta con costolette, lombata e testa d’agnello (fig. 19) sembrano metterci in guardia sulla futilità della vita – come le vanitas del Siglo de Oro – o sull’irrazionalità dell’essere uma- no capace di uccidere con un semplice colpo di fu- cile o un rapido taglio. Non è neppure necessario ri- correre al sangue: basta un segno, una macchia ros- sa sulla pelle setosa della lepre o sulla testa quasi umana dell’agnello per rendersi conto della gravità del fatto accaduto; uccidere è facile. E neanche al pa- rossismo: lepri, pavoni, beccacce... sembrano ripo- sare tranquilli, sono delicatamente ammassati l’uno sull’altro senza esasperazione; come i cadaveri e i personaggi del 2 maggio 1808.
Non stupisce, allora, che tale modernità sia di- ventata un punto di riferimento formale e concet- tuale per alcuni dei migliori e più celebri artisti del- le generazioni successive: Gustave Courbet, Édouard Manet, Chaïm Soutine, Renato Guttuso, José Gu- tiérrez Solana, Pablo Picasso e molti altri. E che, al pari di Goya, alcuni trasformino le nature morte in immagini di chiara violenza.
Ne è un esempio Renato Guttuso, il quale nel- lo stesso periodo in cui dipingeva le tele più esplici- tamente ispirate al maestro aragonese alludendo, co- me si vedrà, alla cruenta guerra civile spagnola, rea- lizzò Cranio d’ariete (cat. XX), un dipinto di im-
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