Page 19 - Goya y el mundo moderno
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La ferocia sanguinaria è intimamente associata alla tradizione figurativa spagnola. La raccapricciante iconografia del martirio che pervade la pittura del Siglo de Oro si rafforza con i contributi delle coeve sculture lignee utilizzate durante le processioni, an- ch’esse ricche di sacrifici di santi e di immagini di Cristo sanguinante, crocifisso o giacente. Con que- sto vero e proprio festival del gore barocco, l’arte iberica portava a un limite veramente orgiastico l’e- motività relativa al dolore e alla sofferenza diffusa in Europa e in America dall’ideologia visuale della Controriforma.
Goya si allontanò dall’esteriorità del facile ri- chiamo offertogli dalla tradizione e, puntando su strumenti più profondi, lo superò in intensità. Per esprimere lo spavento suscitato dalla visione di un corpo fatto a pezzi, optò per l’esibizione frontale del- la carne parzialmente divorata che sanguina appe- na. Il poco sangue esibito definiva così la sua espli- cita identità di pittura. Cosa che, a conti fatti, fini- va con il configurare un’enfasi tragica che, non fos- se per l’atteggiamento morale di Goya, poteva per- sino rasentare la perversione.
Benché in maniera meno trascendente, Goya aveva già affrontato il tema dell’antropofagia in di- versi disegni e incisioni (esiste anche un disegno che può essere considerato come un precedente diretto del Saturno)10 e in alcuni dipinti della serie nota co- me I selvaggi11. Penso, in particolare, alle due tavo- le conservate al Musée des Beaux-Arts di Besançon, Selvaggi che smembrano le loro vittime (1795 circa - 1798) e Selvaggi che mostrano resti umani (1795 circa - 1798?). La ferocia insita in entrambe viene in parte mitigata dalla loro configurazione come sor- dide scenette di genere. Inoltre (per quanto l’effetto
sia in parte dovuto al piccolo formato) le mutilazio- ni e i monconi umani che ne risultano rivelano solo in minima parte la loro natura di immagini sangui- nose, rappresentando così un primo esempio di “uso necrotico della carne cruda”.
In ogni caso, l’espediente visuale della mutila- zione che si traduce in carne che non sanguina adot- tato nel Saturno era presente in tutto il suo orrore nei Disastri della guerra n. 37 (Questo è peggio) e n. 39 (Grande impresa! Con morti!) entrambi data- bili al 1810-1813 (cat. 156.37, 39).
Per certi versi il pittore aragonese adottava un espediente iconografico occasionale della tradizione barocca spagnola, mettendolo in risalto per confe- rirgli un ruolo da protagonista assoluto. Mi riferi- sco in particolare ad alcune rappresentazioni scul- toree della testa mozzata di san Giovanni Battista poggiata sopra un vassoio. Opere realizzate con un realismo feroce che mostrano il sezionamento di mu- scoli, nervi, trachea e vene in cui non circola più il sangue, malgrado l’inequivocabile certezza della la- cerazione che si deduce dai toni rossicci. Elementi anatomici esposti allo sguardo prolisso dell’osser- vatore come fossero raccapriccianti nature morte di carne cruda. Ne è un ottimo esempio la Testa di san Giovanni Battista realizzata da Juan de Mesa intor- no al 1625 e conservata nella cattedrale di Siviglia. In tempi recenti questo accorgimento è stato usato come gancio subliminale da Gunther von Hagens e Roy Glover nelle loro mostre di corpi umani sotto- posti al processo di plastinazione.
Tuttavia, l’arco dei riferimenti è più ampio. At- traverso la raffigurazione della carne ferita che san- guina appena e rivela la sua qualità di cruda natura morta, Goya si allontanava dal pathos di ciò che è
5. Vittore Carpaccio
San Giorgio e il drago, 1502 Venezia, Scuola di San Giorgio degli Schiavoni
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