Page 42 - Goya y el mundo moderno
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trepassa i limiti dell’immaginabile e porta l’orrore al limite estremo della pura deformazione. Il suo umo- rismo macabro non si dimentica di un accessorio inutile in questo contesto: un vaso da notte. L’enor- me creatura è manipolata discretamente dalla fem- me fatale che compare sullo sfondo.
Kubin non solo si ostina nel raffigurare la sot- tomissione di ogni creatura, ma la sua fantasia ha una vena scenica che esige rituali sofisticati: sabba senza streghe, camere di tortura i cui macchinari so- no maneggiati da mostri come in Höllenszenen (fig. 8), opera realizzata intorno al 1900. Questo pande- monio inutile, rozzo e quasi innocente, trova il suo contrappunto in Mattatoio d’uomini del 1912-1915 (fig. 9), un luogo d’esecuzione in cui si agisce con determinazione. Qui non si usano macchine com- plicate: il tavolo del macellaio ha bisogno soltanto di chi lo usi e nient’altro. Nei Disastri Goya aveva messo in risalto il valore della presunta inchiesta (Io l’ho visto) sui fatti, creando delle parabole. Kubin, al contrario, applica la sua forza immaginativa per prevedere i danni della creatura, gli atti perversi che alcuni decenni dopo sarebbero stati perfezionati (va- le a dire razionalizzati) nei campi di concentramen- to nazisti.
Goya fu un personaggio unico tra i suoi con- temporanei, non solo perché li superò tutti senza ec- cezioni, ma anche perché attraversò tutte le catego- rie. Seppe muoversi con maestria tra i poli della de- terminazione – la sua e quella degli altri – e combi- nare il mondo della corte con la borghesia e con il proletariato. In generale, superò i limiti dei generi pittorici scoprendo in ciascuno nuove dimensioni. Trasformò il dipinto storico in reportage, nell’im- magine di un avvenimento; ricorse al paesaggio per dare rilievo espressivo alle allucinazioni collettive (Pitture nere); convertì il quadro di genere in una presa di posizione critica; impresse al ritratto sfu- mature smascheratrici; restituì alla natura morta la qualità di immagine di sensualità demoniaca. Ot- tenne i risultati più alti nei Capricci: la satira e la deformazione della figura (la caricatura) raggiunse- ro un’intensità espressiva rivelatrice in cui si fonde- vano tutti i pericoli e gli istinti della condizione uma- na. Dietro, le due forze che in Goya agivano con- temporaneamente: osservazione e invenzione. Da lì nacque la “felice imitazione, per la quale un buon autore acquisisce il titolo di inventore e non di ser- vile imitatore”.
Non è possibile accostarsi al carattere eteroge- neo di quest’opera fondamentale seguendo le fasi evolutive della storia dell’arte. Goya è un blocco er- ratico che non tiene in considerazione la nostra ter- minologia stilistica. Così lo percepirono due intel- lettuali della Scuola di Vienna, contemporanei di Ku- bin e Kokoschka, ai quali adesso mi aggiungo. En- trambi, Max Dvorˇák (1874-1921) e Julius von Sch- losser (1866-1938), si erano formati negli ultimi de- cenni della monarchia del Danubio. All’interno del- la comunità scientifica i due studiosi – il primo ce- co e il secondo figlio di madre italiana – furono gli esponenti di una cultura urbana e sopranazionale e di una franchezza di approccio facilmente indivi- duabile nel loro metodo di ricerca. Nel 1916, du- rante la prima guerra mondiale, Dvorˇák pubblicò un articolo intitolato Eine illustrierte Kriegskronik [Una cronaca di guerra illustrata] che si occupava dei Disastri (Gesammelte Aufsätze zur Kunstgeschi- chte, V, München 1929, pp. 242 e sgg.). Benché non potesse evitare la classificazione tipica della storia degli stili e considerasse Goya come il punto d’in- contro di due costanti, ossia il segno evolutivo pit- torico dell’impressionismo e quello figurativo del realismo, si rese conto che il realismo dei Disastri presentava una nuova intensità perché diventava un “commento ai processi psichici soggettivi scatenati dalla guerra”.
La profondità di tale affermazione non è una conquista della storia dell’arte, bensì deriva dal nuo- vo “psicocentrismo” dell’epoca e occupa un posto nella vita spirituale individuale (non bisogna dimen- ticare che Dvorˇák considera la storia dell’arte come storia del pensiero!). Lo studioso commenta il modo in cui si è giunti a questa vita spirituale con una ci- tazione tratta da Gli anni dell’apprendistato di Wilhelm Meister di Goethe: “Cominciò così la ten- denza da cui non riuscii mai a separarmi per tutta la vita, ossia quella che mi portava a trasformare in un dipinto, in un poema, ciò che in qualche modo mi rallegrava, torturava o preoccupava”. L’osservatore del mondo dei fatti diventa osservatore di se stesso. L’ampio sguardo di Dvorˇák individua altri artisti in- tellettualmente collegati con Goya, ma non si tratta di pittori bensì di Hölderlin, Byron e Leopardi. An- che Julius von Schlosser cercò, nel prologo a un pic- colo volume della Biblioteca di Storia dell’arte della casa editrice E.A. Seemann Verlag, pubblicato nel 1922 (ristampato in Präludien, Berlin 1927, pp. 388