Page 111 - Goya y el mundo moderno
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nia, Gran Bretagna, Francia, Italia ecc. Un esempio di “tipi” ita- liani – che hanno un precedente riconosciuto in Le Arti di Bo- logna (1646) di Annibale Carracci – è costituito da Le arti che vanno per via nella città di Venezia (1753/1754-1785) di Gae- tano Gerardo Zompini. Un artista interessante per l’analisi del- le relazioni tra l’arte italiana, spagnola e francese è Charles de la Traverse, pittore legato al marchese di Ossun, ambasciatore fran- cese alla corte napoletana di re Carlo, autore di Grida e altre azioni del popolo di Napoli (1759), alcuni disegni del quale so- no conservati presso la Biblioteca Nacional de España di Ma- drid. Nella loro diversità, i “tipi” si trasformano subito in im- magini tradizionali che compongono un catalogo o inventario di personaggi, mestieri, atteggiamenti e abiti popolari, un genere in voga fino alla prima metà dell’Ottocento e oltre. Goya conosce- va alcune di queste raccolte quando dipinse i cartoni per arazzi, in particolare la Colección de trajes de España (1775) di Juan de la Cruz.
4 Corrente artistica e letteraria fondata sull’osservazione delle abitudini, costumbres, della vita quotidiana e dei relativi perso- naggi e situazioni; il suo sviluppo corrisponde al romanticismo e al naturalismo, ma, nell’opinione dell’autore, esistono vari e non un solo naturalismo, vari e non un solo romanticismo.
5 Molte scene dei suoi cartoni per arazzi hanno per protagonisti personaggi che appartengono alle classi più basse della popola- zione, banditi, braccianti, mendicanti ecc., una realtà “canaglia” che, come si osserva nelle stampe dell’epoca, rientrava nel gusto per il pittoresco di quegli anni (ricordiamo che i cortigiani ama- vano travestirsi da popolani e che molti dei personaggi dei car- toni potrebbero essere nobili mascherati da plebei). Se nei carto- ni, fatta eccezione forse per gli ultimi, non esistono indizi di una visione ironica, non si può dire lo stesso dei disegni degli Album B e C, delle stampe dei Capricci o, molto dopo, dei Disparates e di alcuni fogli della Tauromachia. In questo approccio ironico al- la società canaglia del periodo, Goya eredita alcune regole illu- ministe che, è certo, conosceva bene. Nella settima delle Lettere marocchine di Cadalso si trova una scena che avrebbe potuto es- sere firmata dall’artista aragonese (e che successivamente sarà ba- nalizzata dal goyesco): la festa celebrata in una fattoria a cui par- tecipano “signorini” e la cosiddetta gente del bronce (persone spesso di origine andalusa o di etnia gitana legate ad ambienti marginali). Un certo zio Gregorio ha il compito di “preparare si- gari e distribuirli, dopo averli accesi lui stesso, ai cavalieri, ac- cendere le lampade, dichiarare nomi e pregi di tutte le gitane, bat- tere il tempo con le mani mentre qualcuno dei loro più appassio- nati protettori balla e brindare alla loro salute con mezza brocca di vino”. Il narratore conclude la lettera con una considerazione tipicamente illuminista: “Giunta l’ora di andare via, salii a ca- vallo dicendo tra me e me a voce bassa: ‘Così si cresce una gio- ventù che potrebbe essere tanto utile se l’educazione fosse pari al talento!’. E un uomo serio, che a quanto pare non gradiva quel- lo stile di vita, sentendo le mie parole mi disse con le lacrime agli occhi: ‘Sì, signore’”. J. de Cadalso, Cartas marruecas, a cura di E. Martínez Mata, Crítica, Barcelona 2000, pp. 33-34.
6 A proposito del romanticismo spagnolo Azorín scriveva: “Ne- gli anni trenta e quaranta dell’Ottocento risulta predominante una certa modalità sentimentale, domestica, flebile, a tratti deli- cata, altre volte risonante di superficiale sconforto”, in Pintores y literatos, in “La Vanguardia”, Barcellona, 10 giugno 1913, in- serito nell’antologia pubblicata da J. García Mercadal, Pintar como querer, Biblioteca Nueva, Madrid 1954, p. 97. Pintar co- mo querer è anche il titolo dell’articolo di Bergamín apparso in “Hora de España”, in cui si sottolinea l’importanza della volontà – un motivo decisamente novantottista [termine con cui si indi- ca la generazione del 1898, anno in cui la Spagna perde gli ulti-
mi possedimenti del suo impero coloniale, Cuba e Filippine; in conseguenza di questo evento si venne a creare un generale sen- timento di crisi che si concretizzò nella riflessione su quale fos- se la natura della Spagna e sul significato di essere spagnolo] – per l’identità spagnola. Tuttavia non ci è chiaro come questo ar- gomento possa essere applicato all’opera di Goya.
7 Il concetto di “España negra” è direttamente legato al dibatti- to relativo alla natura o alla condizione della Spagna – alla sua essenza si dice talvolta – e dell’identità spagnola. La questione è stata posta in ambiti molto diversi e con posizioni ideologiche in molti casi contrapposte. Qui vogliamo segnalarne una che si ri- ferisce espressamente a Goya. Nel già citato articolo Pintar co- mo querer (Goya, todo y nada de España) di José Bergamín, pub- blicato in piena guerra civile, la pittura dell’artista aragonese vie- ne presentata come un’espressione dell’elemento popolare spa- gnolo, associato a una tradizione culturale (e nazionale) che de- riva direttamente dal Siglo de oro. È opportuno sottolineare che l’identità spagnola fu uno dei temi attorno a cui si sviluppò il di- battito intellettuale (e la propaganda) durante la guerra, tanto più importante se si pensa che una delle fazioni aveva scelto di definirsi “nazionale”. Non si tratta di un dibattito nuovo: oltre a essere stato affrontato dai novantottisti, riemergerà negli anni venti e trenta nella contrapposizione tra il nazional-popolare e il nazionalismo di destra, e ancora fascista, che inizia a cavalca- re liberamente sulla politica europea. Secondo Bergamín, Goya e Mariano José de Larra furono le due figure centrali dell’affer- mazione dell’identità spagnola non nazionalista. Goya svolse un ruolo significativo nella guerra civile, soprattutto per l’influen- za esercitata su artisti come A. Rodríguez Castelao e Arturo Sou- to, per non parlare di quella rintracciabile nel Guernica di Pi- casso. D’altra parte, fu proprio il Ministero della pubblica istru- zione a dare alle stampe nel 1937, nelle officine della Calcografía Nacional, I disastri della guerra (Madrid, Biblioteca Nacional de España, inv. 45691ter.).
8 A Philosophical Enquiry into the Ideas of the Beautiful and Su- blime [Ricerca filosofica sull’origine delle nostre idee del subli- me e del bello], l’opera fondamentale di E. Burke nell’ambito del- l’estetica e della teoria dell’arte, fu pubblicata nel 1757 ed ebbe una seconda edizione nel 1759, fu tradotta in castigliano nel 1807 da Juan de la Dehesa e non sappiamo se Goya la conoscesse, an- che se appare strano che i suoi amici ne ignorassero l’esistenza, non solo perché il libro era stato comunque tradotto in france- se (1765) e occupava un posto centrale nel dibattito settecente- sco, ma anche perché alcuni di loro avevano tradotto testi simi- li. José Munárriz tradusse in spagnolo I piaceri dell’immagina- zione di Joseph Addison pubblicandone il testo nella rivista “Va- riedades de ciencias, literatura y artes” (1804): il saggio di Ad- dison (in origine apparso in “The Spectator” nel 1712) analiz- zava la differenza tra il bello e il sublime e indicava l’importan- za del mostruoso. Lo stesso Munárriz tradusse anche Lezioni di retorica e belle arti di H. Blair; il volume fu pubblicato in Spa- gna nel 1798 ed ebbe molto successo, tanto che nei primi anni dell’Ottocento se ne stamparono diverse edizioni. Goya ritrasse Munárriz nel 1815: fra i testi raffigurati nel dipinto si distin- guono “The Spectator” e le Lezioni di Blair. Ricordiamo inoltre che nel 1815 Munárriz fu nominato direttore della Real Com- pañía de Filipinas e di certo fu responsabile dell’incarico affida- to a Goya di dipingere L’Assemblea generale della Compagnia delle Filippine (1815 circa) oggi conservato al Musée Goya di Castres.
9 Il disegno di Victor Hugo fu oggetto di un successivo commento da parte di Théophile Gautier che ne mise in risalto gli aspetti romantico-spagnoli: “Ai piedi di una montagna con aspri diru- pi sorge un castello medievale che proietta la sua ombra opaca
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