Page 204 - Goya y el mundo moderno
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8. Théodore Géricault
Scena di cannibalismo sulla zattera della Medusa, 1818 circa
Parigi, collezione privata
Esecuzione capitale in Italia (1817 circa, Stoccolma, Nationalmuseum), il boia è rappresentato come una sorta di Ercole eroico in una classica posa scultorea.
I due disegni contrastano fortemente con quel- li eseguiti da Goya a Bordeaux sul tema della pena capitale, della ghigliottina13, o con quelli riferiti alla guerra: nella sobria narrazione goyana non c’è trac- cia di eroismo.
Io l’ho visto
Nelle Fatali conseguenze della sanguinosa guerra in Spagna..., il titolo con cui Goya chiamò l’ormai ce- lebre serie dei Disastri della guerra, che sicuramen- te non vide mai pubblicata14, l’artista descrisse una violenza spaventosa15.
In mezzo all’insensatezza che, in nome della ra- gione, devastò il territorio spagnolo, Goya compo- se un racconto straziante in ottantadue stampe, or- ganizzate seguendo una sequenza narrativa in tre gruppi16, a cui vanno aggiunti i disegni corrispon- denti.
Un racconto attendibile, anche senza conside- rare che nel 1808 l’artista abitava a Puerta del Sol, nel centro di Madrid (come è stato accertato da al- cuni autori), o che andava a osservare i cadaveri che si accumulavano nella montagna di San Pio17. Ciò che è certo è che Goya fu testimone oculare di alcu- ne delle atrocità commesse a Madrid, a Saragozza e in altre località aragonesi. È stato pienamente con- fermato, infatti, che nell’ottobre del 1808, quando
le truppe francesi si ritirarono dopo il primo assedio a Saragozza, l’artista fu chiamato dal generale Pa- lafox affinché registrasse scene e impressioni di quan- to era accaduto in città e che tra il 2 e l’8 ottobre del- lo stesso anno si recò nella capitale aragonese18.
Tuttavia l’evento di per sé non spiega il suo rac- conto degli avvenimenti, che colpisce soprattutto per il modo penetrante, asciutto e stringato, privo di ar- tefici o concessioni, in cui Goya riesce a trasmettere all’osservatore, a tutti noi, le funeste conseguenze di tanta barbarie.
Una barbarie che vide protagonisti gli spagno- li delle classi più semplici e umili che uscirono in stra- da per difendere la terra, le case e i pochi averi, il più delle volte servendosi di armi chiaramente ridicole e dovettero scontrarsi con soldati ben equipaggiati e armati di quelle baionette che Goya trasformò in simboli di morte e che compaiono ripetutamente nei dipinti e nelle incisioni (Il 3 maggio 1808 a Madrid, Non si può guardare, E non c’è rimedio...).
Gruppi di uomini e donne anonimi, per lo più sprovvisti di elementi identificativi, che avrebbero potuto combattere dovunque e in qualsiasi epoca. Dotati soltanto di armi improvvisate, della loro col- lera e della loro rabbia. Uomini e donne miserabili che in situazioni limite reagiscono con tutta l’irra- zionalità di cui è capace l’essere umano (Popolino, Se lo meritava...). E soldati brutali che obbedendo a un ordine militare sono capaci delle atrocità più crudeli senza provare turbamento: Goya li rappre- sentò con volti caricaturali e, in certi casi, ridicoli (Non c’è più tempo, Sei forte tu, Perché?, Che altro si può fare?...). Gli stessi protagonisti delle guerre che sarebbero scoppiate molti anni dopo.
Da un confronto tanto diseguale nascono com- posizioni dure e cariche di tensione, antitesi delle bat- taglie epiche a cui la pittura ci aveva abituato, che esplodono in tutto il loro clamore nel 2 maggio 1808 o Lotta contro i mamelucchi (1814, Museo del Pra- do), rappresentazione del violento scontro tra i ma- drileni e i mercenari egiziani in forza all’esercito fran- cese, che si svolse nelle strade della capitale spagno- la19, il cui studio è esposto in mostra (cat. XX).
In altre occasioni, nello splendido 3 maggio 1808 a Madrid o Le fucilazioni alla montagna del principe Pio20 (fig. 9), la lotta scompare e le baionette dei soldati francesi, raffigurati come meri burattini, diventano il simbolo della guerra. Nessuno grida, nessuno dei condannati a morte emette il minimo ur-
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