Page 24 - Goya y el mundo moderno
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 13. Julio Romero de Torres Cabeza de santa, 1925 Cordova, Museo Julio Romero de Torres, Excmo. Ayuntamiento de Córdoba
14. Julio Romero de Torres Salomé, 1926
Cordova, Museo Julio Romero de Torres, Excmo. Ayuntamiento de Córdoba
sapevole) ebbe legami con le poetiche dei realismi tra le due guerre e, soprattutto, con alcuni aspetti che queste rappresentazioni di nuovo conio antici- parono rispetto a quello che, subito dopo, sarebbe stato il percorso visuale del surrealismo.
Sensibile all’ambigua necrofilia delle teste moz- zate del Battista di epoca barocca commentate in precedenza, Romero riprese il tema della “carne- cruda-martirizzata-che-non-sanguina” nella Cabe- za de santa (1925) conservata nella sua casa museo di Cordova. In questo caso, tuttavia, il san Giovanni della tradizione ha cambiato genere sessuale. Per contro, questo resto mutilato, inequivocabilmente una testa di donna tagliata e priva di sangue, guar- da di sbieco ciò che le sta intorno abbozzando un sorriso capace di trasmettere la raccapricciante sen- sazione di essere davanti a un compiaciuto cadave- re vivente.
Nella Salomé (1926) dello stesso museo, Ro- mero ritrasse la protagonista del dipinto intenta a giocherellare proprio con i bordi del collo seziona- to di san Giovanni, cratere di una ferita che non san- guina più e che al tatto le sta di certo trasmettendo la freddezza della carne cruda inanimata. In questo caso potremmo dire non più dotata di fresca cru- dezza ma, addirittura, “dalinianamente putrida”.
Uno sviluppo straordinario del motivo si osser- va nella Salomé del Museo Nacional de Artes Visua- les di Montevideo, dipinta da Romero de Torres nel- lo stesso periodo. Qui la lasciva danzatrice ci guarda con espressione maliziosa mentre gioca, in atteggia- mento quasi da lesbica, con una testa tagliata dalle sembianze indubbiamente femminili, dalla cui ferita non sgorga più il sangue. La gestualità ambigua si di- vide tra semantica del dolore e semantica del piacere.
Ovviamente nulla, se non il mero meccanismo significante della retorica visuale, ci consente di as- sociare il Saturno di Goya alle tortuose incursioni nella “poetica della carne cruda incruenta” compiute da Romero de Torres.
Pur non essendo neppure nello stesso universo di Goya, ci troviamo davanti a un’analoga capacità di proiezione emotiva sull’osservatore quando con- templiamo l’inquietante dipinto di Christian Schad intitolato L’operazione (1929, Monaco di Baviera, Lenbachhaus). Il nostro sguardo cade in picchiata su un tavolo operatorio circondato da chirurghi e in- fermiere dalle cui lenzuola emerge stretto tra le pin- ze, inciso, spellato e asetticamente incruento il pene
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l’immaginario pittorico fino all’epoca del pittore ara- gonese. Pensiamo, senza andare più lontano, alle Te- ste di giustiziati (1818, Stoccolma, Nationalmuseum) dipinte da Géricault.
Dopo Goya, gli esempi continueranno a molti- plicarsi per tutto l’Ottocento, ma certamente sarà nel Novecento che questa “poetica della carne cru- da che non sanguina, che sanguina a stento o che non è più irrorata” offrirà i suoi frutti più eloquen- ti, benché non sempre raccolti nel drammatico am- bito in cui si muove il Saturno goyano.
Il simbolismo fu il movimento che, sin dall’ini- zio del nuovo secolo, espresse una poetica visuale più incline all’ambiguità equivoca e, soprattutto, al- l’uso di una semantica dell’aggettivazione morbosa. Un aspetto, questo, che la cultura occidentale aveva ereditato proprio dal vaso di Pandora aperto ai suoi tempi dal manierismo. Inoltrandoci nei primi trent’anni del Novecento, incontriamo Julio Rome- ro de Torres, nient’altro che un epigono del simbo- lismo, un pittore che dalla stravaganza della sua po- sizione periferica (benché non ne fosse troppo con-






















































































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