Page 266 - Goya y el mundo moderno
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 5. Edvard Munch L’urlo, 1893
Oslo, Munch-museet
6. Georges Rouault
Paesaggio di notte
o Rissa in un cantiere, 1897 Parigi, Musée d’Orsay, dono di Isabelle Rouault
presentazioni in cui la moltitudine, questo nuovo concetto introdotto da Goya, conquista un fiero pro- tagonismo. Figure farneticanti che urlano di orrore di fronte allo spettacolo che si svolge davanti ai lo- ro occhi. Bocche che sembrano trattenere il grido, l’ululato, accompagnate da smorfie quasi spasmo- diche, da occhi sbarrati per la rabbia, il dolore, la paura, la stoltezza... Moltitudini disperate, sbigot- tite, persino grottesche, come quelle di Munch; mol- titudini feroci come quelle rappresentate un secolo più tardi da George Grosz; volti senza corpo, come quelli concepiti, ancora dopo, da Asger Jorn e An- tonio Saura.
Bocche totalmente spalancate che, dimentiche dei canti popolari intonati dai pellegrini nei carto- ni per arazzi realizzati da Goya anni prima, si con- vertono in puro rictus, in maschere prive dei colo- ri brillanti che risaltavano nell’ormai vecchio Bal- lo in maschera. I pellegrini delle Pitture nere, resi con ampie pennellate impastate, si raccolgono in mezzo a una densa oscurità del tutto inadeguata al- le feste popolari. Gli scenari rococò dei primi pel- legrinaggi goyeschi assumono tinte più scure, ter- ree, colme di sfumature ma carenti di luce; come i personaggi, quegli esseri che invece di cantare sem- brano gridare per allontanare l’angoscia, la deso- lazione... Come avviene nel Sabba anche le figure del Pellegrinaggio a San Isidro (fig. 4) assomiglia- no ad archetipi della sconfitta, si ammassano in una ressa disperata, sprovvista di qualsiasi attributo di umanità.
Goya ha modellato un’ampia gamma di grida d’angoscia, riprese, molti anni più tardi, da grandi maestri dell’arte contemporanea capaci come lui di illustrare la violenza insita nell’essere umano, in una nuova società in vertiginosa evoluzione che, di tan- to in tanto, precipitava nell’abisso dell’orrore.
Da Munch – con quel grido che ha percorso l’u- niverso intero trasformandosi in un’icona universa- le – fino agli “occhi [che] hanno iniziato a desidera- re e a soffrire e le bocche a urlare e a mordere” di Antonio Saura, la modernità ha seguito il solco trac- ciato dal maestro aragonese, convertito in un punto di riferimento formale e concettuale per le rabbiose e tormentate pennellate degli espressionisti, per gli impasti furibondi degli astrattisti o le incisive im- magini di quella sorta di nuova figuratività propo- sta dalla cosiddetta Scuola di Londra e dal neoe- spressionismo tedesco.
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Esseri diabolici e umani a un tempo che danno vita a immagini atroci come il Saturno dalla bocca mostruosamente spalancata raffigurato sul punto di divorare e inghiottire un corpo, fragile come quello di un pupazzo, che abbranca fino a farlo sanguinare11. Una bocca collocata su un volto febbrile, terrificante, dagli occhi straordinariamente spalancati, quasi sul punto di saltare fuori dalle orbite, nella cui fissità sem- bra condensarsi tutta l’angoscia dell’universo; forse proprio quella che terrorizzava lo stesso Goya, l’arti- sta capace di rappresentare con tale intensità emoti- va e maestria formale la brutalità dell’esistenza.
Una simile barbarie irrazionale traspare dagli spettatori del frenetico Sabba, un’altra delle rap-























































































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