Page 304 - Goya y el mundo moderno
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 la figurazione preannunciano l’appro- do di Giacometti al suo stile più ca- ratteristico, sviluppato a partire dall’i- nizio degli anni quaranta. Appaiono allora le grandi figure umane allunga- te, dall’aspetto ruvido, per le quali po- sano il fratello Diego, la modella Rita Gueffier e la compagna dello scultore, Isabel Delmer. Ben presto Giacometti inizia tuttavia a scolpire senza model- li, creando opere di grandi dimensioni che ne fanno uno degli artisti più ori- ginali del Novecento. La sua pittura è caratterizzata da figure rigide, raffigu- rate in posizione frontale, simbolica- mente isolate nello spazio. In queste creazioni che rappresentano la solitu- dine e l’isolamento dell’uomo si è vo- luto scorgere una trasposizione della filosofia esistenzialista, e in effetti Jean- Paul Sartre, il massimo esponente di quella scuola, ha riconosciuto nell’o- pera di Giacometti alcune delle proprie idee e ha scritto sull’opera dell’artista svizzero. A partire dagli anni cin- quanta, una serie di importanti mostre mette in evidenza le sue grandi capa- cità in campo sia scultoreo sia pittori- co. Tra le sale in cui espone con mag- gior assiduità spiccano la Pierre Ma- tisse Gallery e la Galerie Maeght. Le sue sculture dell’epoca, quasi esclusi- vamente monocrome e a prima vista meno scabre, raffigurano per la mag- gior parte nudi femminili in posizione eretta, come nel caso della Femme de Venise. Negli anni sessanta prolifera- no le mostre dedicate alla sua opera. Le retrospettive più interessanti sono quelle organizzate dalla Tate Gallery di Londra, dal Louisiana Museum di Humlebaek e dal Museum of Modern Art di New York nel 1965. Alla fine di quell’anno, dopo aver subito un in- tervento chirurgico per rimuovere un tumore allo stomaco, viene ricoverato nell’ospedale cantonale di Coira. L’11 gennaio 1966 muore a causa di un at- tacco cardiaco. La sua tomba si trova nel cimitero di San Giorgio, Borgono- vo-Stampa, accanto a quella dei fami- liari. La Fondazione Alberto Giaco- metti viene inaugurata a Zurigo lo stes- so anno.
G.H.
Bibliografia
Alberto Giacometti: el diálogo con la historia del arte, catalogo della mostra, IVAM-Centre Julio González, Valen- cia 2000; Giacometti: sculptures, prints & drawings from the Maeght Foun- dation, catalogo della mostra, Art Gal- lery of New South Wales, Sidney 2006; Á. González, Alberto Giacometti: obras, escritos y entrevistas, Polígrafa, Barcelona 2006.
Julio González
(Barcellona 1876 - Arcueil 1942) Julio González Pellicer nasce a Barcel- lona nel 1876. Figlio e nipote di orefi- ci e fabbri, impara il mestiere di fami- glia insieme al fratello maggiore Joan e frequenta la Scuola di Belle Arti. Joan si dedica alla pittura e influenza il fra- tello minore; entrambi partecipano a esposizioni di arti applicate e frequen- tano il Circolo artistico di Sant Lluc e il caffè Els quatre gats. Alla morte del padre decidono di vendere la bottega e di trasferirsi a Parigi, dove entrano in contatto con artisti quali Picasso, Manolo Hugué, Gargallo e Casano- vas. La morte di Joan, nel 1908, sprofonda il fratello nella depressione: Julio si isola e abbandona per anni l’at- tività artistica, soprattutto pittorica, che fino ad allora – incoraggiato da Joan – aveva praticato accanto al me- stiere di artigiano del metallo. Nono- stante il fallimento del suo matrimo- nio gli è di grande conforto la figlia Roberta, che si occuperà delle sue ope- re dopo la scomparsa dell’artista. Po- co a poco Julio si dedica alla scultura. Tra il 1912 e il 1918, mentre continua a realizzare gioielli e a dipingere, crea piccole figure in bronzo cesellato o fu- so. Allo scoppio della prima guerra mondiale stringe amicizia con Modi- gliani e Brancusi, ma il suo carattere introverso impedisce che l’avanguar- dia abbia su di lui un’influenza diret- ta. Nel 1918 inizia a lavorare come saldatore in un’officina metallurgica della Soudure Autogène Française; qui apprende tecniche che gli aprono nuo- ve possibilità nella lavorazione del fer- ro. A partire dal 1920, incoraggiato dagli amici, partecipa ad alcune mo- stre e nonostante la sua insicurezza ot- tiene buone recensioni. Nel 1927, do- po aver realizzato le prime opere in fer- ro e aver collaborato con Pablo Picas- so, che introduce alla tecnica della for- gia, decide di dedicarsi interamente al- la scultura. Nonostante l’età matura, affronta il lavoro con tale vitalità e ver- satilità da divenire uno degli scultori più influenti del Novecento. Trae ispi- razione da un gran numero di movi- menti e artisti, ma il suo percorso è personale e le sue opere uniche. I pez- zi degli inizi sono spesso semplici la- stre di ferro ritagliate, sorprendenti e originali. Raffigura contadine, nature morte o maschere, tutte caratterizzate dalla semplicità delle linee. La pro- pensione per l’astrazione si sviluppa a partire dal 1930, anche se l’autore non abbandona i riferimenti alla realtà. Crea una serie di teste e maschere in cui si avverte l’assimilazione del cubi- smo e del costruttivismo; il successivo
raffinamento di questo linguaggio lo porta a realizzare sculture sempre più stilizzate a partire da spesse linee di- segnate nello spazio. Uno dei suoi maggiori contributi all’arte moderna, l’introduzione del ferro tra i materiali della scultura, è in realtà frutto di una scelta piuttosto pratica: questo mate- riale infatti gli risulta familiare, è po- co costoso, facile da trovare (soprat- tutto per chi, come lui, utilizza anche materiale di scarto) e presenta carat- teristiche interessanti quali l’estrema elasticità combinata con la resistenza e la durata. La ricerca di González si concentra sullo spazio, la forma e la linea; dalla sperimentazione con que- sti concetti emergono opere originali in cui proprio lo spazio costituisce l’e- lemento centrale. Allo scoppio della guerra civile spagnola, l’artista mette da parte le ricerche formali e crea Ma- scara de Montserrat gritando, un’ope- ra profondamente espressiva in cui l’orrore della guerra si incarna nella fi- gura della contadina catalana, un sog- getto che aveva già trattato in prece- denza anche se in maniera meno dram- matica. Ritorna sullo stesso tema quando il governo della Repubblica lo invita a partecipare al padiglione spa- gnolo dell’Esposizione Universale del 1937, in questa occasione plasma una Montserrat diversa, colma di dignità, forte e coraggiosa. Durante gli anni della guerra si trasferisce ad Arcueil, dove continua il suo lavoro, ma a cau- sa della carenza di gas di cui ha biso- gno per le saldature si dedica princi- palmente ad abbozzare i progetti di fu- ture sculture. Muore nella cittadina francese il 27 marzo 1942.
V.M.
Bibliografia
Julio González, collection Centre Pom- pidou-Museée National d’Art Moder- ne, catalogo della mostra, Centre Pom- pidou, Paris 2007; T. Llorens, Julio González en la colección del IVAM, catalogo della mostra, IVAM, Valen- cia 2007.
George Grosz
(Berlino 1893-1959)
Georg Ehrenfried Gross nasce a Berli- no il 26 luglio 1893, ultimo dei tre fi- gli di Karl Ehrenfried Gross e Marie Luise Wilhelmine. Poco dopo la sua na- scita la famiglia si trasferisce a Stolp, in Pomerania. A sei anni Georg resta orfano del padre, con cui aveva condi- viso la passione per i fascicoli illustra- ti di scenari bellici che riceveva setti- manalmente. Data la sua precoce pas- sione per il disegno, la madre decide di pagargli delle lezioni private di pittu-
ra. Tra il 1909 e il 1912 studia con ze- lo presso l’Accademia di Belle Arti di Dresda, si perfeziona nella copia dal vero e studia composizione. Inizia a guadagnarsi da vivere inviando disegni a riviste satiriche. Terminati gli studi trascorre alcuni mesi a Parigi, frequenta la scuola di Colarossi ed entra in con- tatto con le avanguardie dell’epoca, cu- bismo e futurismo. Studia inoltre le opere di Goya, Toulouse-Lautrec e Ho- noré Daumier. Con l’intento dichiara- to di divenire un disegnatore profes- sionista, continua la sua formazione presso l’Accademia di Arti e Mestieri di Berlino, dove è allievo di Emil Or- lik. I suoi ambiziosi propositi sono fer- mati dallo scoppio della prima guerra mondiale, cui partecipa come soldato di fanteria e sorvegliante dei prigio- nieri. Durante il conflitto, incapace di sopportare la tensione dei combatti- menti, Georg tenta il suicidio ed è co- stretto ad abbandonare la sua posta- zione per essere ricoverato in un ospe- dale. Purtroppo invece di guarire si ag- grava, giacché viene addirittura tortu- rato dai suoi stessi compagni; il ricor- do di quel periodo lo tormenterà per il resto dei suoi anni. Una volta termi- nata la guerra, Berlino patisce le con- seguenze della sconfitta: la pornogra- fia e la corruzione sono le uniche fon- ti di guadagno in una città zeppa di lo- cali equivoci frequentati da soldati e prostitute. Nei primi anni venti Georg, accompagnato da John Heartfield, os- serva questi ambienti sordidi attraver- so la lente dadaista. Nello stesso pe- riodo cambia il proprio nome in Geor- ge Grosz e dal 1919 al 1922 si iscrive al Partito comunista tedesco (KPD). Nel 1922 si reca in Russia – per lavo- rare all’illustrazione di un libro che non sarà mai pubblicato – e ha l’opportu- nità di incontrare Lenin e Trotsky. Di ritorno a Berlino, nel 1925, aderisce al- la corrente di sinistra del movimento chiamato Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività). La prima mostra del mo- vimento – cui partecipa tra gli altri an- che Otto Dix – ha luogo presso la Kun- sthalle di Mannheim. Le sue tele e so- prattutto i disegni e le litografie testi- moniano l’immane tragedia del dopo- guerra e raffigurano personaggi mise- rabili delineati energicamente con gran- de nettezza. All’inizio del decennio suc- cessivo, a causa dell’ascesa del Partito nazista Grosz, come tanti altri artisti, è costretto a fuggire dalla Germania quando la sua opera viene etichettata come degenerata. Poche settimane pri- ma della chiusura delle frontiere emi- gra negli Stati Uniti, il paese in cui vi- vrà per i successivi trent’anni. Accom- pagnato dalla moglie Eva Louise Peter,
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