Page 48 - Goya y el mundo moderno
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 3. Francisco de Goya y Lucientes
Autoritratto, 1815 circa Madrid, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando
le o di trasgressione di tanti artisti contemporanei che dichiarano di seguire il suo esempio, e fingono di combattere le convenzioni in un parossismo ni- chilista, simili a bambini isterici che rompono i gio- cattoli per attirare l’attenzione. “L’impresa di Goya aveva un’intenzione politica” – scrive Julius – “met- tere in ridicolo la reazione spagnola e in questo mo- do ridimensionarne l’autorità”. Ai fratelli Chapman le provocazioni procurano guadagni milionari. A Goya, se non avesse attentamente calibrato le pro- prie, l’avrebbero potuto trascinare in carcere.
Che guardare sia un atto politico lo si percepi- sce osservando il ritratto di Jovellanos dipinto da Goya nel 1798 (cat. 3). Torna a stupirmi ogni volta che mi ci accosto, ogni volta che entro nella sala in cui è conservato e il suo volto mi accoglie come fos- si un amico andato a fargli visita in un ufficio da cui vorrebbe scappare al più presto. Si presume che i ri- tratti ufficiali abbiano il proposito di trasmettere il senso del potere, ma quel che Goya ritrae in questo caso sembra essere piuttosto lo sconforto, l’impo- tenza addirittura. È forte la tentazione di considera- re Goya come un uomo di un’epoca diversa dalla sua: spesse volte ci sembra che appartenga alla nostra. Ma per valutarne l’originalità è assai importante realiz- zare che quanto vi è di nuovo in lui è intimamente le- gato alla tradizione a cui apparteneva e che sottopo- neva sempre a violente tensioni, utilizzandola con spregiudicatezza, con tanta profonda cognizione quanta irriverenza. Il vocabolario visivo del ritratto è quello distillato da secoli di pittura di corte, e l’at- teggiamento di Jovellanos è quello, canonico, del pen- sieroso malinconico, proprio come l’effigie di Mi- nerva che accenna un gesto protettivo nei confronti del ministro fresco di nomina proviene dai più tediosi repertori accademici. Ma ciò che è nuovo, ciò che ri- chiama sempre la nostra attenzione, è quello sguar- do, l’espressione di quella bocca, l’atteggiamento com- battuto tra ansia e speranza. Un volto così la pittura fino ad allora non lo aveva ancora mostrato. I re, i potenti dell’ancien régime, compreso lo spettrale Car- lo II, posano con piena coscienza della propria posi- zione di privilegio nelle gerarchie immutabili del mon- do. Possono essere incompetenti o abulici, persino idioti, possono essere perfettamente consapevoli del fatto che il loro regno sta andando in malora mentre loro si mettono in posa per quell’essere subalterno che è sempre il pittore. Ma non dubitano mai della posizione che occupano.
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chio. In quello del Prado è assente, anche se magari non smarrito; la sua prodigiosa memoria di pittore è assorta in un qualche ricordo.
L’atto di guardare e quello di raccontare com- portano le stesse severe conseguenze politiche e mo- rali: ciò che si sceglie di guardare o di raccontare fa risaltare per contrasto ciò che viene nascosto e ta- ciuto. La funzione esplicita di una quantità immen- sa di storie e di immagini, ora come ai tempi di Goya, è quella di nascondere e mentire. Nell’illuminismo, cui fu sempre così prossimo, è implicita la metafora di una volontà di chiarezza che dissipa le ombre e mostra il volto sgradevole e vero delle apparenze, il ridicolo della vanità e della pompa. Le ombre, per quanto profonde siano, non sono impenetrabili e la chiarezza non è un dono della natura né del cielo, ma il risultato di un’azione razionale anche se, ine- vitabilmente, pregiudicata dallo scoraggiamento e a volte dall’esasperazione. Goya ha ispirato i surrea- listi, ma non sarebbe mai stato uno di loro. Il mon- do dei sogni per lui non è una liberazione, ma una minaccia, e i suoi mostri non sono il frutto di un ir- responsabile delirio personale, ma di una patologia civile che ha origini precise e che in qualche misura potrebbe essere curata, entro i limiti della fragilità umana, e delle tendenze apparentemente congenite della nostra specie alla crudeltà e all’errore. Anthony Julius ha distinto con grande acume il proposito mi- litante di Goya dalla brama di provocazione pueri-




























































































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