Page 75 - Goya y el mundo moderno
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3. Francisco Goya Autoritratto, 1797-1800 Castres, Musée Goya
sulle immagini e sulla realtà che raffiguravano, nel momento stesso in cui le incluse nei disegni).
Gli autoritratti non mostrano soltanto l’evolu- zione di un artista che cambia il suo modo di vede- re la vita e diventa un intellettuale, cioè qualcuno che riflette in maniera critica sulla realtà che lo cir- conda, ma registrano anche un altro segno distinti- vo: quello lasciato dal tempo. In tutte le opere cita- te è presente il tempo, l’energia o il deterioramento fisico. Forse può essere interessante raffrontare gli autoritratti già menzionati con quello dipinto nel 1815 (cat. 11) per rendersi conto che il tempo è il vero protagonista di queste tele. Il tempo ha lascia- to i suoi segni sui lineamenti del viso, vale a dire li ha creati, costruiti e modellati. Non si possono at- tribuire né a una malattia né a un particolare stato d’animo, sono il frutto del severo passare del tempo sulla carne del volto, sullo sguardo, sul gesto. Goya è un pittore di corpi e di carni, un pittore del tempo.
Goya non tornerà a essere lo stesso dopo gli ul- timi anni del Settecento e non perché, almeno per certi versi, non sia più lo stesso – un pittore che ac- cettava incarichi e prendeva un salario dall’ammi- nistrazione regia, un “pittore del re” – ma perché insieme a quei lavori crea un’opera potente e co- piosa, sempre “per capriccio” (anche se adesso in
un senso forse più profondo di quello espresso a Iriarte nel 1794) ma non come pretesto o idea oc- casionale bensì in maniera sistematica. Un’opera che, d’altra parte, non poteva essere ignorata da quella eseguita su commissione, che accusò la sua presenza persino nei dipinti più “impegnati”, quel- li ufficiali come La famiglia di Carlo IV (1800-1801, Madrid, Museo Nacional del Prado; fig. 4): è suffi- ciente osservarne i bozzetti per capire che ci trovia- mo di fronte a un’interpretazione personale, nel sen- so più stretto del termine, celata dietro “l’ufficia- lità” delle figure ritratte. Si è tanto parlato del mo- dello, le Meninas di Velázquez, da non aver preso nella giusta considerazione il repertorio di perso- nalità individuali offerto dalla pittura, un reperto- rio che non è protagonista della tela del pittore si- vigliano e che invece viene colto immediatamente, al di là di qualsiasi riferimento erudito, da chi os- serva l’opera di Goya.
Nei primi anni dell’Ottocento Goya, oltre ai ri- tratti su commissione, dipinge quelli di familiari e amici: è considerato il miglior ritrattista della società madrilena dell’epoca. Pur adottando accorgimenti tradizionali, quali l’abbigliamento e la convenzio- nalità delle pose, l’artista aragonese si concentra so- prattutto sull’espressione individuale, sull’istante ri- velatore che si coglie nel gesto fisico, sullo sguardo e sull’atteggiamento in generale, senza evitare, anzi sottolineandoli, i segni del tempo, che lascia la sua impronta tanto sui lineamenti del volto quanto sui corpi. Inizia così un percorso che da Isidro Gonzá- lez Velázquez (1801, Chicago, The Art Institute of Chicago), La marchesa de Lazán (1804 circa, Ma- drid, Casa de Alba; fig. 5), Bartolomé Sureda (cat. 6) – straordinario esempio di ritratto borghese –, L’attore Isidoro Máiquez (cat. 7), Manuel Silvela (cat. 5) e Juan Antonio Llorente (1810-1812 circa, São Paulo, Museo de Arte), giungerà fino al Ritratto del poeta Moratín (cat. 10), Juan Bautista de Muguiro (1827, Madrid, Museo Nacional del Prado) e L’in- cisore Gaulon (1824-1825, Madrid, Fundación Lá- zaro Galdiano), una litografia che è al tempo stesso omaggio a chi gli insegnò i segreti della tecnica ed espressione di una personalità illuminata che, anco- ra una volta, supera i limiti del mestiere; Moratín, Muguiro e Gaulon ci portano in una Bordeaux com- merciale e borghese, molto lontana sia dalla Madrid cortigiana (e provinciale) dei primi anni di carriera sia dalla capitale segnata dalla repressione dell’as-
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